Dove e quando l'ho comprato?
La casa editrice Voland, come ogni anno, me l'ha gentilmente inviato.
Dove e quando l'ho letto?
Tra l'archivio di stato e la biblioteca
Che cosa?
Il delitto del conte Neville di Amélie Nothomb. Non sarebbe primavera senza il nuovo libro di Amélie. Come a Parigi non sarebbe autunno (NB.in Francia la Nothomb è una superstar e traina tutta la rentrée letteraria settembrina dagli anni '90).
Perché?
Perché negli anni Amélie non ha mai smesso di sorprendermi: non perdo un suo romanzo da quando la scoprii, da adolescente, una quindicina d'anni fa.
Con che cosa?
Il racconto dei racconti di Basile e svariati volumi di grammatica storica.
Autore: Amélie Nothomb
Titolo: Il delitto del conte Neville
Editore: Voland
Traduttore: Monica Capuani
Collana: Amazzoni
Pagine: 93
Prezzo: 14 euro
Anno: 2016
Trama: Il conte Neville, aristocratico belga
decaduto, è costretto a vendere il suo magnifico castello nelle Ardenne. Prima
di uscire di scena, per celebrare l’onore della famiglia, decide di organizzare
una lussuosissima festa di addio. Ma nei giorni che precedono l’evento Sérieuse,
la sua figlia più giovane, fugge di casa e si nasconde nella foresta. A
trovarla è una misteriosa chiaroveggente e sarà costei, dopo aver avvertito il
conte del
ritrovamento della ragazza, a fargli una spaventosa profezia: “Durante il
ricevimento, lei ucciderà un invitato.” Il conte Neville, ossessionato da
queste parole, dovrà trovare un modo per sfuggire al suo tragico destino.
Riprendendo Oscar Wilde e la tragedia greca Amélie Nothomb gioca con la
letteratura e con l’intelligenza dei lettori, fornendo come al solito una sua
personale versione dei miti.
RECENSIONE
Ammetto senza vergogna che mi aspettavo di tutto (e in negativo) da quest'ultima fatica nothombiana: io amo Amélie, com'è noto, ma ultimamente i suoi romanzi di pura fantasia mi avevano spesso delusa o quantomeno mai lasciata completamente soddisfatta. In modo particolare penso a Causa di forza maggiore, Viaggio d'inverno e Barbablù, lontani anni luce dai primissimi capolavori L'igiene dell'assassino e Mercurio; differentemente dal filone autobiografico, che invece ha visto un'evoluzione molto positiva.
Un'ambientazione polverosa, aristocratica, staticamente ansiogena, non prometteva granché e anche le recensioni presenti in rete e sui giornali si dimostravano particolarmente impietose, a questo giro.
E invece, ancora una volta, l'ordigno a orologeria scatta e colpisce nel segno, almeno per quanto riguarda i miei "sentiti" (parola particolarmente importante, probabile calco di un termine psicanalitico di moda in Francia, che l'autrice sbeffeggia a più riprese nel corso della narrazione).
Amélie mette in scena il dramma tragicomico di un aristocratico belga decaduto al tramonto di una stagione di gloria da ospite impeccabile alle prese con l'organizzazione dell'ultimo garden party nella sua tenuta avita crocifissa dalle ipoteche e ormai prossima alla vendita; un canto del cigno che si tinge di noir quando la capricciosa figlia adolescente fugge di casa e la mistica che la ritrova, tremante di freddo nel bosco, fa al conte una profezia di morte, notificandogli che nel corso della festa lui ucciderà un invitato. Seguiranno per il protagonista notti di insonne turbamento, un perenne rinvangare un passato fintamente glorioso, in realtà lastricato di atroci sofferenze, e soprattutto un dialogo al vetriolo con la capricciosa ultimogenita, geniale quanto nevrotica, che vive avvolta in un totale nichilismo.
La risoluzione dell'intrigo è, come spesso in Amélie, la più semplice e forse proprio per questo la meno prevedibile, celata tra le righe della profezia.
Un librino che si legge in mezzo pomeriggio e, al solito, condensa in un impasto denso quanto lieve tanti stilemi cari all'autrice: il sadomasochismo psicologico (nel rapporto problematico tra il conte e l'ultimogenita Seriéuse), il declino inerosaribile di antichi fasti (e anche qui la vanesia Nothomb non rinuncia a citare la sua famiglia tra le più nobili del Belgio, mostrandoci che conosce bene l'ambiente di cui parla), l'ipocrisia sociale, la fame (patita dal conte che, nonostante i banchetti e l'apparente sfarzo famigliare, ha in realtà vissuto un'infanzia di stenti e malnutrizione per ragioni che è interessante conoscere), le citazioni dirette e indirette (Oscar Wilde, la tragedia greca e i racconti d'inverno di Karen Blixen) la veggenza e la predestinazione, e soprattutto la visione estrema di vita, morte ed emozioni che dimostrano gli adolescenti.
Non voglio dire altro sulla trama, per non rovinare il gusto ai lettori, ma ho trovato la costruzione estremamente avvincente e funzionale nella sua linearità.
Invece ho percepito come del tutto accessoria la presenza dei due bellissimi e narrativamente inutili fratelli di Sérieuse, il cui unico scopo è avere nomi (Electre e Oreste) che evocano la tragedia greca.
Amélie mette in scena il dramma tragicomico di un aristocratico belga decaduto al tramonto di una stagione di gloria da ospite impeccabile alle prese con l'organizzazione dell'ultimo garden party nella sua tenuta avita crocifissa dalle ipoteche e ormai prossima alla vendita; un canto del cigno che si tinge di noir quando la capricciosa figlia adolescente fugge di casa e la mistica che la ritrova, tremante di freddo nel bosco, fa al conte una profezia di morte, notificandogli che nel corso della festa lui ucciderà un invitato. Seguiranno per il protagonista notti di insonne turbamento, un perenne rinvangare un passato fintamente glorioso, in realtà lastricato di atroci sofferenze, e soprattutto un dialogo al vetriolo con la capricciosa ultimogenita, geniale quanto nevrotica, che vive avvolta in un totale nichilismo.
La risoluzione dell'intrigo è, come spesso in Amélie, la più semplice e forse proprio per questo la meno prevedibile, celata tra le righe della profezia.
Un librino che si legge in mezzo pomeriggio e, al solito, condensa in un impasto denso quanto lieve tanti stilemi cari all'autrice: il sadomasochismo psicologico (nel rapporto problematico tra il conte e l'ultimogenita Seriéuse), il declino inerosaribile di antichi fasti (e anche qui la vanesia Nothomb non rinuncia a citare la sua famiglia tra le più nobili del Belgio, mostrandoci che conosce bene l'ambiente di cui parla), l'ipocrisia sociale, la fame (patita dal conte che, nonostante i banchetti e l'apparente sfarzo famigliare, ha in realtà vissuto un'infanzia di stenti e malnutrizione per ragioni che è interessante conoscere), le citazioni dirette e indirette (Oscar Wilde, la tragedia greca e i racconti d'inverno di Karen Blixen) la veggenza e la predestinazione, e soprattutto la visione estrema di vita, morte ed emozioni che dimostrano gli adolescenti.
Non voglio dire altro sulla trama, per non rovinare il gusto ai lettori, ma ho trovato la costruzione estremamente avvincente e funzionale nella sua linearità.
Invece ho percepito come del tutto accessoria la presenza dei due bellissimi e narrativamente inutili fratelli di Sérieuse, il cui unico scopo è avere nomi (Electre e Oreste) che evocano la tragedia greca.